Ustica: aspetti geologici

L‘isola di Ustica, situata nel Tirreno meridionale a 67 km a Nord-Nord-Ovest da Palermo, rappresenta la porzione sommitale di un più vasto ed articolato apparato vulcanico le cui manifestazioni eruttive, prima subacquee e poi subaeree, hanno un’età geologica relativamente recente, riferibile alla prima parte del periodo Quaternario (circa 740.000 – 420.000 anni).

La superficie in affioramento (parte sud-orientale dell’intero apparato) è attualmente di appena 8,7 kmq, ma se si considera la parte sommersa si ottiene un’area molto più estesa, pari a circa metà di quella occupata dall’Etna, per un’altezza che supera i 1.000 metri. La sommersione di gran parte dell’isola è stata anche causata da una serie di fenomeni tettonici e vulcano-tettonici che hanno interessato ripetutamente soprattutto la parte settentrionale provocandone lo smembramento e il ribassamento che, oltre a ridurre l’estensione, ha modificato profondamente la morfologia della residua parte emersa. Testimonianze esemplifìcative di questi sprofondamenti sono dati dallo Scoglio del Medico e dalla Secca della Colombara a Nord e Nord-Ovest.

L’isola costituisce il solo vulcano emerso di una serie di edifici vulcanici, impostati lungo una grande discontinuità tettonica a carattere regionale con direzione est-ovest strettamente connessa alla recente evoluzione del Mar Tirreno meridionale.

In particolare, in questa parte del Mar Tirreno, si succedono, procedendo verso ovest, ed in un ristretto intervallo spazio-temporale, i grandi complessi vulcanici dei «seamounts» Anchise (a circa 25 km da Ustica) ed Aceste, abbastanza ben conosciuti sulla base dei numerosi rilievi oceanografici e di geologia marina svolti a partire dagli anni ’80, oltre a diversi apparati minori, variamente distribuiti ed allineati intorno alle strutture principali come il Banco di Apollo, situato a circa 3 km ad ovest di Punta Spalmatore.

Geologicamente l’isola mostra nel sottosuolo ed in affioramento quasi esclusivamente rocce di genesi vulcanica, per la maggior parte di origine sottomarina; soltanto in alcuni punti della costa si riscontrano dei sedimenti marini di modestissimo spessore.

Nell’area della riserva ricadono, oltre ai due piccoli promontori di Punta di Megna e Punta dello Spalmatore, i resti dei due principali centri eruttivi subaerei dell’isola: Monte Costa del Fallo e Monte Guardia dei Turchi. Quest’ultimo rappresenta la vetta più alta dell’isola (248 m).

Monte Guardia dei Turchi doveva rappresentare il principale centro eruttivo ed era dotato di un apparato molto complesso, probabilmente con diversi piccoli centri di emissione periferici. Due di questi sono ipotizzabili alle quote di 126 m, dove si osservano dei depositi tufacei con tracce di fumarolizzazione, e nell’altra cima del monte (238 m), in cui vi sono i resti di un condotto formato da frammenti lavici e scorie saldate.

Questo vulcano durante la sua attività ha subìto frequenti modificazioni, fino ad essere interessato dalla formazione di due ammassi lavici domiformi all’interno di un cratere eccentrico, che hanno segnato la fìne delle manifestazioni eruttive di questo centro. Le tracce di questi due duomi di ristagno sono ancora riconoscibili nel versante settentrionale della montagna.

A fenomeni vulcano-tettonici sono invece dovute le principali modificazioni subìte dall’apparato vulcanico di Monte Costa del Fallo; in particolare lo sprofondamento del primitivo edificio causato dall’imponente attività esplosiva con emissione di abbondante materiale piroclastico che svuotando il condotto ne ha provocato il collasso craterico.

Anche Monte Costa del Fallo è un vulcano composito, con probabilmente un complesso apparato vulcanico, di cui sono tuttora riconoscibili due centri eruttivi; quello meridionale è il responsabile dell’efflusso lavico che ha prodotto i due grandi baluardi di Timpone Basile e Timpone Tranchina, il cui toponimo indica comunemente un’aspra rupe con notevole sviluppo verticale, mentre da quello settentrionale si è avuta l’ultima eruzione di questo vulcano, i cui prodotti effusivi si sono spinti verso ovest, formando il promontorio di Punta di Megna. Molto caratteristico risulta questo tratto della costa per la presenza di numerosi dicchi di colore chiaro, anche di imponenti dimensioni, che tagliano la formazione tufìtica di base. Si ipotizza che siano dei testimoni di un cono craterico periferico distrutto dall’azione abrasiva del mare e dallo sprofondamento tettonico della parte settentrionale dell’isola.

La ricostruzione dell’evoluzione strutturale dei principali centri eruttivi dell‘isola è comunque molto difficile in quanto l’azione degli agenti atmosferici (quella eolica in particolar modo) e quella fortemente erosiva del mare, combinata con gli eventi tettonici e vulcano-tettonici, ha profondamente e ripetutamente trasformato la morfologia degli originari edifici vulcanici.

La fine dell’attività vulcanica di Ustica è datata a circa 420.000 anni fa e, in tempi storici, non si hanno notizie neanche di fenomeni di magmatismo terminale, anche se i racconti di anziani contadini, in bilico tra la leggenda e la memoria, narravano di sbuffi di vapore caldo nel crinale di Monte Guardia dove ci si poteva scaldare quando, in inverno, infuriava la tramontana. Partendo da queste fonti, nell’estate del 1997, su iniziativa della locale associazione culturale «Centro studi e documentazione Isola di Ustica», sono stati ricercati e rilevati dei punti di emissione di vapore, a temperatura superiore a quella dell’ambiente esterno, localizzati nel versante settentrionale di Monte Guardia dei Turchi, in corrispondenza di un ammasso di rocce basaltiche molto alterate, noto nel dialetto locale come «U Vurcanu».

Alle «fumarole» si arriva prendendo il sentiero detto del «Boschetto» e imboccando la vecchia scalinata che porta all’impianto radar dell’aviazione civile. Alla quota di circa 200 m, in corrispondenza dell’ammasso roccioso già citato, poco al di sopra del selciato, si intravedono tra la vegetazione arbustiva delle piccole buche simili a tane di conigli con l’ingresso tappezzato da muschi dovuti alla notevole umidità; avvicinandosi con il viso all’imboccatura o infilando una mano nella buca, è avvertibile immediatamente un flusso di vapore caldo-umido.

Allo stato attuale è più probabile ipotizzare che si tratti di un fenomeno legato più all’idrogeologia che ad espressioni di vulcanesimo tardivo. Il gas di queste cosiddette «fumarole» è comunque attualmente oggetto di un’indagine conoscitiva da parte degli studiosi dell’Università di Palermo.

Di grande interesse è il paesaggio geomorfologico della riserva, dal carattere aspro ed insieme elegante, laddove le nere rocce vulcaniche sono state plasmate dagli agenti atmosferici in fantastiche forme, simili a sculture surreali. Si richiamano in particolare i pregevoli ornati (tafoni, nicchie, marmitte, alveoli, plaghe vermiculate o reticolate, cariature, creste, ecc.), prodotti principalmente dall’azione abrasiva e di cesellatura del vento, che come delicati ricami danno leggiadria ai tozzi e scabri blocchi lavici.

I promontori di Punta di Megna e Punta Spalmatore, che delimitano la zona A della riserva marina, rappresentano due tratti di costa molto frastagliati tra i più caratteristici e interessanti dell’intera isola. L’azione prolungata dei marosi, esercitata selettivamente sui diversi litotipi a differente resistenza, ha modellato queste zone costiere dando luogo a insenature molto incise, punte rocciose e una serie di nicchie e piccole grotte molto suggestive.

Di origine artificiale sono invece le «Grotte del Lapillo». Si tratta di una serie di cave in sotterraneo, un tempo utilizzate per l’estrazione di materiale ad uso edile. Alcune di queste cavità, situate lungo la trazzera che porta al vecchio Semaforo (oggi demolito e sostituito dall’impianto radar dell’aviazione civile), sono veramente imponenti e in parte risultano collegate fra loro. Nelle pareti di natura prevalentemente cineritica bianco-grigiastra, si riscontrano grosse pomici e blocchi lavici di varie dimensioni, a dimostrazione di una violenta eruzione esplosiva di tipo pliniano del vulcano di Monte Costa del Fallo.

La formazione piroclastica delle Grotte del Lapillo presenta inoltre la peculiarità petrografìca di essere il solo deposito di composizione trachitica dell’isola, indice di una lunga stasi del magma nel condotto, precedente l’eruzione. Rocce con le stesse caratteristiche petrografiche sono state ritrovate solo nella Secca della Colombara, localizzata a circa un chilometro a nord dell’isola.

Particolarmente interessante è infine l’aspetto morfologico dei termini litologici subaerei della Formazione dello Spalmatore che rappresenta in assoluto l’ultimo episodio eruttivo dell’isola. In corrispondenza del villaggio turistico dello Spalmatore, lungo la rotabile principale dell’isola, si osservano degli ammassi lavici compatti, di grande spessore, che mostrano la particolare morfologia con fessurazione colonnare (o prismatica). Si tratta dello stesso fenomeno che ha prodotto la famosa «Passeggiata dei Giganti» (Giant’s Causeway) in Irlanda ed è dovuto a contrazioni per raffreddamento relativamente lento della lava; le colonne che si formano perpendicolarmente alla superficie di raffreddamento danno utili indicazioni per la ricostruzione della geometria dell’espandimento lavico.

Nella stessa zona si può osservare una grande concentrazione di «lave a cuscini» (pillows lavas), tipiche delle colate laviche di tipo basaltico effuse in condizioni subacquee. Sono caratterizzate da corpi globulari, di forma approssimativamente ellissoidica e varia dimensione. In alcuni di questi pillows è ancora evidente la struttura concentrica con tipica frattura radiale causata dalle contrazioni per il raffreddamento rapido al contatto con l’acqua marina ed i classici processi di alterazione superfìciale detti di desquamazione cipollare.

TESTI TRATTI DA BROCHURE DELLA EX PROVINCIA REGIONALE DI PALERMO E FOTO ARCHIVIO WWF SICILIA NORD OCCIDENTALE

 

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